Di nuovo mi ritrovo a scrivere in un tempo di guerra. Se prima dovevamo combattere un nemico invisibile e microscopico, ora dobbiamo tenere a bada i timori quotidiani per una guerra al di là del pianerottolo, inquietante e mostruosa come tutte le guerre e capace prima di tutto di manipolarci e immobilizzarci attraverso la paura. Fin dai primi istanti ci si è chiesti che senso avesse proseguire con le nostre quotidiane attività, quando a poche ore di distanza persone (proprio "identiche a noi", e forse è stato questo a rendere l’opinione pubblica una volta tanto così empatica?) venivano ferite, umiliate o uccise.
Nel mio caso, le mie “sciocche” attività artistiche risultavano ancora più fuori luogo. Ma come puoi continuare a gingillarti in mezzo ai tuoi colori mentre dei bambini scappano da soli in mezzo alle bombe? Quando donne incinte partoriscono nei rifugi o muoiono schiacciate dalle macerie?
È sempre
stato così, in ogni guerra, da quelle lette e studiate a quelle dei paesi “lontani”
dell’altro ieri. Eppure, stavolta, non è un tempo lontano, non è un gioco immaginato e
tutto pare alquanto surreale. Il lontano è un concetto relativo. Per me, cresciuta
a racconti e letture sulla seconda guerra mondiale, tutto è sempre stato molto
vicino, nel tempo, nel cuore, nello spazio. Di conseguenza come si può continuare
a parlare di sciocchezze, far giocare i figli, guardare i cartoni, fare la
spesa, litigare per un parcheggio…. Quando al di là del fiume c’è tutto questo?
Come si può? Lentamente. Fermandosi. Affermando la nostra
estraneità a una guerra che ancora una volta noi non vogliamo. A noi tutto questo non piace e ne siamo contrari. Insegnando la
Pace. Costruendo giorno per giorno un’oasi in cui rifugiarsi. Proprio per i
nostri piccoli, per proteggerli da notizie, spiegazioni, azioni che non possono
capire e che probabilmente li spaventano. Piano piano. Senza pensare troppo al
futuro, ma pensandoci. L’ansia non deve prendere il sopravvento, ma tenendo per
mano la nostra sacrosanta preoccupazione possiamo chiederci: cosa possiamo fare
con quanto sappiamo fare?
Come una preghiera ho preso in mano i pennelli per i miei
esercizi quotidiani, che non hanno uno scopo, se non di farmi apprezzare il Mondo
e le sue creazioni, di farmi stare bene, di mantenere la calma e cercare di
trasmetterne. Ciascuno di noi può cercare il suo modo per infondere pensieri
positivi.
L’arte, come ho letto su un post della mia amica e
brillante fotografa Sara Pasquet (@sara.parceque su instagram), non salverà il mondo. Siamo noi con le nostre scelte che
possiamo fare qualcosa. Scegliere la bellezza, cercare di preservarla, di
diffonderla, insegna che non c’è solo il male con la sua stupidità, che non
siamo costretti a subirlo, che anche quando ci toccherà nel profondo non saremo
soltanto quello, perché sapremo guardare oltre, più in là... Noi siamo altro.
Mi piace pensare che l’arte, anche fatta in modo “casalingo”
come nel mio caso, possa avere uno scopo nobile, per costruire relazioni,
ponti, amicizie, solidarietà. E su questo vorrei lavorare. Per questo, a
partire dai miei esercizi sull’inchiostro, ho in mentre un piccolo progetto:
Hope
Amo due parole: resistenza e resilienza. Amo la parola Speranza. Mi piace pensare che questa cresca ovunque, ma soprattutto nei luoghi e nei momenti più impensati.
A breve vi farò sapere gli sviluppi su questo progetto!
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